Contratto in forma verbale: validità, nullità o inesistenza
La prima sentenza, a quanto risulta, in tema di validità, nullità o inesistenza di un contratto di locazione convenuto tra le parti solo in forma cosiddetta verbale, anziché in forma scritta, dopo l'entrata in vigore della legge 431/1998, fa sicuramente discutere (Trib. Pisa, sent. n. 173, 2 gennaio 2002). Infatti, secondo l'esperienza comune, la forma è la modalità attraverso la quale ogni fenomeno cosciente e volontario deve manifestarsi per potere essere socialmente apprezzabile.
In termini giuridici, invece, la forma è un modo di manifestazione del volere che, in relazione ad alcuni contratti, il legislatore impone avvenga con un documento scritto; essa, perciò, rientra fra i requisiti essenziali del contratto, insieme all'accordo delle parti, all'oggetto e alla causa, ai sensi dell'art. 1325 cod. civ., soltanto però allorché il legislatore la preveda a pena di nullità del contratto stesso.
a cura di Gian Vincenzo Tortorici, Avvocato da Il Sole 24 ore
Un contratto può essere stipulato in forma libera o in forma scritta. In particolare, la forma scritta può assumere la veste di solennità, nel caso dell'atto pubblico, anche se più usualmente assume la veste di una scrittura privata autenticata.
Come è noto nel caso dell'atto pubblico, il contratto viene formato in presenza di un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzati, come dispone l'art. 2699 cod. civ., ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove è stato formato. Il pubblico ufficiale garantisce la provenienza delle dichiarazioni, in relazione al luogo, ai soggetti che le abbiano rese e alla loro presenza al momento della stipula. Nel caso della scrittura privata autenticata, invece, il pubblico ufficiale si limita a effettuare un riconoscimento di appartenenza delle sottoscrizioni apposte al contratto da parte dei soggetti che lo hanno formato.
Quando il legislatore impone per un atto il rispetto della forma scritta a pena di nullità, si è in presenza di una forma ad substantiam.
Con riferimento ai contratti, il codice civile impone la forma scritta a pena di nullità, nei casi previsti dall'art. 1350 cod. civ. In tutti i casi contemplati ai numeri 1-12 di tale articolo, il legislatore ha previsto una serie di atti negoziali aventi a oggetto beni immobili, con particolare riferimento agli atti di disposizione della proprietà o di altro diritto reale, suscettibili di comportare un mutamento della condizione giuridica del bene immobile.
Tra i contratti de quibus, si possono ricordare il trasferimento della proprietà, gli atti di costituzione e modificazione dei diritti di usufrutto, uso e abitazione, i contratti di locazione di immobili per una durata superiore ai nove anni.
La forma scritta è, però, imposta anche per altre ipotesi indicate da leggi speciali, come prevede il n. 13 dell'art. 1350 cod. civ. In questo caso, l'onere di forma è imposto in considerazione della funzione dell'atto e delle eventuali gravi conseguenze che ne possono scaturire.
La forma scritta ad substantiam è imposta anche per i cosiddetti negozi strumentali, che si modellano a quelli per i quali è previsto l'obbligo di forma, essendo a essi collegati, in quanto preparatori, integrativi o accessori, quali il contratto preliminare e la procura al rappresentante di concludere un contratto.
Rispetto ad alcuni contratti, peraltro, il legislatore non impone il rispetto della forma scritta, ma piuttosto la prevede solo quale documento probatorio, nell'ipotesi di successive vertenze giudiziarie.Si ha così la forma scritta ad probationem: in questi casi, il mancato rispetto della forma prevista non comporta la nullità dell'atto, ma soltanto una limitazione dei mezzi di prova utilizzabili per dimostrarne esistenza e validità. Non si può, infatti, ricorrere alla prova testimoniale, né a quella per presunzioni.
I principali contratti, per i quali il legislatore impone la forma scritta ad probationem sono: il contratto di transazione, di assicurazione, i patti limitativi della concorrenza, l'accordo con cui, nel contratto d'appalto, il committente autorizzi l'appaltatore a operare variazioni rispetto all'opera precedentemente convenuta.
Per tutti i contratti a forma vincolata, ad substantiam o ad probationem actus, tuttavia, in caso di perdita del documento di una delle parti contraenti, purché incolpevole, il legislatore attenua le suddette previsioni rigorose, concedendo in ogni caso la prova per testimoni, giusta la previsione dell'art. 2724, n. 3, cod. civ.
Un terzo tipo di forma è concepita dal legislatore ad regularitatem, ovvero per esigenze di pubblicità o fiscali, come per i contratti con cui si trasferisce la proprietà di beni mobili registrati o per quelli per cui sia richiesto il pagamento di un'imposta, quale, per esempio, la registrazione del contratto di locazione.
Come è noto nel caso dell'atto pubblico, il contratto viene formato in presenza di un notaio o altro pubblico ufficiale autorizzati, come dispone l'art. 2699 cod. civ., ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove è stato formato. Il pubblico ufficiale garantisce la provenienza delle dichiarazioni, in relazione al luogo, ai soggetti che le abbiano rese e alla loro presenza al momento della stipula. Nel caso della scrittura privata autenticata, invece, il pubblico ufficiale si limita a effettuare un riconoscimento di appartenenza delle sottoscrizioni apposte al contratto da parte dei soggetti che lo hanno formato.
Quando il legislatore impone per un atto il rispetto della forma scritta a pena di nullità, si è in presenza di una forma ad substantiam.
Con riferimento ai contratti, il codice civile impone la forma scritta a pena di nullità, nei casi previsti dall'art. 1350 cod. civ. In tutti i casi contemplati ai numeri 1-12 di tale articolo, il legislatore ha previsto una serie di atti negoziali aventi a oggetto beni immobili, con particolare riferimento agli atti di disposizione della proprietà o di altro diritto reale, suscettibili di comportare un mutamento della condizione giuridica del bene immobile.
Tra i contratti de quibus, si possono ricordare il trasferimento della proprietà, gli atti di costituzione e modificazione dei diritti di usufrutto, uso e abitazione, i contratti di locazione di immobili per una durata superiore ai nove anni.
La forma scritta è, però, imposta anche per altre ipotesi indicate da leggi speciali, come prevede il n. 13 dell'art. 1350 cod. civ. In questo caso, l'onere di forma è imposto in considerazione della funzione dell'atto e delle eventuali gravi conseguenze che ne possono scaturire.
La forma scritta ad substantiam è imposta anche per i cosiddetti negozi strumentali, che si modellano a quelli per i quali è previsto l'obbligo di forma, essendo a essi collegati, in quanto preparatori, integrativi o accessori, quali il contratto preliminare e la procura al rappresentante di concludere un contratto.
Rispetto ad alcuni contratti, peraltro, il legislatore non impone il rispetto della forma scritta, ma piuttosto la prevede solo quale documento probatorio, nell'ipotesi di successive vertenze giudiziarie.Si ha così la forma scritta ad probationem: in questi casi, il mancato rispetto della forma prevista non comporta la nullità dell'atto, ma soltanto una limitazione dei mezzi di prova utilizzabili per dimostrarne esistenza e validità. Non si può, infatti, ricorrere alla prova testimoniale, né a quella per presunzioni.
I principali contratti, per i quali il legislatore impone la forma scritta ad probationem sono: il contratto di transazione, di assicurazione, i patti limitativi della concorrenza, l'accordo con cui, nel contratto d'appalto, il committente autorizzi l'appaltatore a operare variazioni rispetto all'opera precedentemente convenuta.
Per tutti i contratti a forma vincolata, ad substantiam o ad probationem actus, tuttavia, in caso di perdita del documento di una delle parti contraenti, purché incolpevole, il legislatore attenua le suddette previsioni rigorose, concedendo in ogni caso la prova per testimoni, giusta la previsione dell'art. 2724, n. 3, cod. civ.
Un terzo tipo di forma è concepita dal legislatore ad regularitatem, ovvero per esigenze di pubblicità o fiscali, come per i contratti con cui si trasferisce la proprietà di beni mobili registrati o per quelli per cui sia richiesto il pagamento di un'imposta, quale, per esempio, la registrazione del contratto di locazione.
La disciplina del contratto di locazione
La dottrina definisce il contratto di locazione un contratto personale di godimento di un bene immobile. Tale contratto è un contratto consensuale con efficacia obbligatoria con il quale - come previsto dall'art. 1571 cod. civ. - si costituisce, nei confronti del conduttore, il diritto al godimento, in tutto o in parte, di un bene mobile o immobile, per un tempo determinato e verso un certo corrispettivo. Per tale contratto l'art. 1350 cod. civ. ut supra prevede la forma scritta esclusivamente per i contratti con durata superiore a nove anni e conseguentemente, per un contratto di durata inferiore, la forma è libera. La disciplina del contratto di locazione, statuita dal codice civile, è stata più volte modificata con leggi speciali a partire dalla legge 253 del 23 maggio 1950 per arrivare alla legge 392 del 27 luglio 1978, recentemente oggetto di una parziale abrogazione a seguito dell'entrata in vigore della legge 431 del 9 dicembre 1998 [
Per la locazione di immobili destinati a uso diverso da quello abitativo, invece, restano in vigore le disposizioni degli artt. 27 e segg. della legge 392/1978, che non prevedono tale obbligo. In questi casi, perciò, il contratto di locazione può essere stipulato anche in forma cosiddetta verbale, salve le ipotesi in cui sia prevista una durata ultranovenale.
Art. 13, legge 431/1998: ambito di applicazione
La problematica però insorge, in relazione al combinato disposto dell'art. 1, ultimo comma, degli artt. 13 e 14, della legge 431 del 9 dicembre 1998; quest'ultimo recita: "Ai contratti per la loro intera durata e ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi a ogni effetto le disposizioni normative in materia di locazioni vigenti prima di tale data".
Due sono le fattispecie che si pongono, quindi, in evidenza:
- rinnovo tacito di un contratto a suo tempo stipulato in forma libera;
- stipulazione dopo il 29 dicembre 1998 (giorno di entrata in vigore della legge 431/1998) di un contratto di locazione a uso abitativo in forma libera, fattispecie analizzata dalla sentenza in esame, anche nel caso di un nuovo contratto rispetto a quello già in essere e regolarmente disdettato.
Nel caso a, a fronte della mancata sottoscrizione di un documento, che riproduca evidentemente le medesime condizioni contrattuali pregresse, per il rifiuto del conduttore, si possono ipotizzare le seguenti soluzioni:
- invio con data certa del modulo, da parte del locatore al conduttore e, in assenza di firma da parte di quest'ultimo, si può ritenere il documento accettato per facta concludentia, qualora il conduttore adempia al contratto stesso, per esempio corrispondendo ritualmente il canone di locazione, il rimborso degli oneri accessori, la sua quota parte dell'imposta di registro;
- conseguimento, da parte dell'autorità giudiziaria, di una sentenza dichiarativa della validità del contratto, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ. per stabilirne per esempio la sua durata.
Nel caso b, invece, il conduttore, anche se ben difficilmente, si può avvalere o della nullità del contratto ovvero delle sanzioni previste dall'art. 13 della legge 431/1998 e chiedere che il magistrato stabilisca il giusto compenso, dal medesimo dovuto, per un contratto di durata quadriennale, con rinnovo automatico alla prima scadenza quadriennale.
In tale ipotesi, infatti, si verifica la fattispecie di un contratto simulato e pattuito in frode alla legge; di conseguenza, la prova della simulazione tra le parti può essere fornita anche tramite testimoni e senza la necessità, quindi, di produrre la controdichiarazione del contratto dissimulato, che nella fattispecie non esiste (Cass., sent. n. 1318, 9 febbraio 1998 e sent. n. 6971, 26 maggio 2000).
La sentenza del Tribunale di PisaIn tale ipotesi, infatti, si verifica la fattispecie di un contratto simulato e pattuito in frode alla legge; di conseguenza, la prova della simulazione tra le parti può essere fornita anche tramite testimoni e senza la necessità, quindi, di produrre la controdichiarazione del contratto dissimulato, che nella fattispecie non esiste (Cass., sent. n. 1318, 9 febbraio 1998 e sent. n. 6971, 26 maggio 2000).
La sentenza del Tribunale di Pisa n. 173 del 2 fabbraio 2002 si pone il problema della mancata prova della simulazione da parte del conduttore che sola però ha sempre consentito il legittimo riconoscimento di un contratto di locazione a equo canone a favore del conduttore stesso (Cass., sent. n. 4472, 28 marzo 2001; sent. n. 328, 13 gennaio 2000 e sent. n. 4377, 3 maggio 1999).
In questa ipotesi la soluzione del Tribunale è costituita dalla inesistenza di un contratto di locazione inter partes in quanto per applicarsi l'art. 13 legge 431/1998 deve sussistere comunque un contratto anche se invalido, quale può essere un contratto il cui documento scritto riporti un canone differente da quello realmente corrisposto dal conduttore.
E del resto è nota la diatriba in dottrina, suffragata dalla giurisprudenza, in ordine alla distinzione tra nullità e inesistenza, quest'ultima "intesa come difetto di almeno uno degli elementi indispensabili per la produzione degli effetti giuridici tipici dell'atto".1 Per contro al contratto nullo sono attribuiti comunque effetti giuridici, seppur in misura parziale e comunque differenti da quelli che produce un contratto valido. La distinzione tra nullità e inesistenza, quindi, può servire all'interprete per risolvere meglio le questioni più controverse precontrattuali, come nella fattispecie in esame. E d'altronde la dottrina ha anche individuato la fattispecie del contratto di fatto, sempre al medesimo scopo di salvaguardare una prestazione effettuata da un soggetto a favore di un altro pur in assenza di un formale contratto sottoscritto tra loro.
Identica soluzione, poi, è stata adottata in giurisprudenza:
Cass., sent. n. 7877, 9 giugno 2000 in tema di matrimonio: "Il matrimonio tra una cittadina italiana e un cittadino israeliano celebrato in Italia secondo il rito religioso ebraico deve ritenersi nullo per contrasto con la disposizione dell'art. 26 disp. prel. cod. civ., ma non inesistente, riscontrandosi, nella specie, la sussistenza dei requisiti minimi per la giuridica configurabilità del matrimonio medesimo, e cioè la manifestazione di una volontà matrimoniale da parte di due persone di sesso diverso espressa in presenza di un ufficiale celebrante, verificandosi, per converso, una situazione di inesistenza nella sola ipotesi in cui risulti "in radice" esclusa ogni possibilità di assegnare effetti a un fatto non riconducibile nello schema del rapporto matrimoniale per totale assenza di quella realtà fenomenica che costituisce la base naturalistica della fattispecie".
Cass., sent. n. 1680, 16 febbraio 1995 in tema di compravendita: "Nel caso in cui, con riferimento alla vendita di un bene in comunione, sia stato stipulato un contratto preliminare di vendita a cui abbiano aderito, con valida manifestazione del loro consenso, solo alcuni comproprietari, il contratto deve ritenersi affetto non da relativa inefficacia (che possa essere fatta valere dal solo acquirente, a cui sia lasciata la diversa opzione di far valere il contratto relativamente alle quote dei comproprietari intervenuti validamente nel negozio), ma da inesistenza o invalidità, per la mancanza del consenso (o di un valido consenso) di una delle parti".
E a volte lo stesso legislatore fa riferimento alla inesistenza del contratto come nell'art. 111, R.D. 1165 del 28 aprile 1998 (Cass., sent. n. 9014, 11 settembre 1998). Il principio, quindi, affermato da questa sentenza apre un nuovo confronto tra locatori e conduttori, ma certamente costituisce una valida interpretazione del combinato disposto dall'art. 1, ultimo comma e dall'art. 13, legge 431/1998.
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